Armando Ceste è un regista torinese che continua a credere in un cinema di denuncia politica, in un cinema militante, come si sarebbe detto una volta, che scava nella cronaca, e a volte nella storia, ma sempre dalla parte degli umiliati e degli offesi.
Massimo Novelli, la Repubblica, 13 ottobre 2000
Armando Ceste era un uomo che, in un mondo di trasformisti come quello odierno, non aveva mai rinnegato il suo passato. Era passionale e visionario. Nel film sull'Askatasuna aveva anticipato quanto sarebbe successo alla caserma Diaz di Genova.
Beppe Rosso, la Repubblica, 17 aprile 2009
Ciao Armando.
Non ci conoscevamo negli anni delle nostre militanze, ma ci sapevamo.
Succedeva, in quella rivoluzione, di essere affratellati a milioni di uguali in tutto il mondo.
Incuranti della faccia e del nome di ciascuno. Attenti a favorire il passo di chi restava indietro.
Riconoscenti per la forza ricevuta dalle conquiste di chi avanzava di più.
Non abbiamo parlato, marciato né bevuto un bicchiere insieme, in quegli anni.
Ma ricambiavamo reciproca presenza fianco a fianco. Potevamo contare l’una sull’altro.
Anche quando le dispute separavano, come solo la politica riesce a fare, non abbiamo mai diffidato.
Per questo, quando t’ho conosciuto non ho fatto fatica a riconoscerti.
C’eri già nella mia vita, t’avevo sentito nell’indistinto della nostra massa d’urto e ci sei rimasto anche nella sconfitta.
Tu sei uno di quelli rimasti, non hai preso distanza, hai rafforzato l’amore per il nostro comunismo tentato, tutelandone impagabile memoria attraverso le tue inquadrature d’artista.
Ho avuto la fortuna di condividere il nostro modo di raccontare.
Non ci interessava celebrare una storia come corpo morto o contenderci le spoglie di torti e ragioni. Sulle ferite e le disillusioni ci accumunava ancora la passione partigiana per la liberazione dai crimini che continuano a sfregiare il mondo. Ancora dalla stessa parte, compagni di chi ai potenti deve contendere libertà, futuro, dignità. Perfino pane.
Abbiamo parlato di un lavoro comune. Un ricordo di Ulrike, una traccia della storia di anni difficili da raccontare. Non ce n’è stato il tempo.
Giro tra le dita una spilletta di latta. Sopra c’è stampato in rosso PORCA MISERIA.
Grazie Armando, grazie alla tua generosa anima di poeta…
Barbara Balzerani, 14 aprlle 2012
Nelle stanze di Lotta Continua, nelle piazze degli anni '70 era facile incontrarsi. Meno ovvio ritrovarsi nei posti successivi, dove si stava per proprio conto e impulso, senza appuntamento.
E' stato bello per me ritrovare, ammaccate dagli anni, le facce di chi era rimasto leale con le ragioni e le scelte inesorabili della nostra gioventù.
Armando, io e una bella porzione del pronome noi, il pronome politico, scegliemmo di essere militanti rivoluzionari.
Oggi suona esotico come se ci fossimo arruolati in una legione straniera. Allora no, nessuna parte del mondo era straniera e noi obbedivamo all'ordine del giorno del mondo.
Perciò m'imbattevo in Armando nei posti dove si svolgevano gli attriti della libertà, tra chi sempre cerca di rubarle spazi e chi li difende a oltranza.
Ora so che è inutile guardarmi intorno in quei paraggi in cerca di Armando e del suo sorriso mite, perché Armando si è messo tra gli assenti non giustificati.
Ora se ne sta impresso nelle opere compiute e sparso nei ricordi di chi gli ha stretto la mano.
Erri De Luca, 14 aprile 2012
DELLA STESSA NATURA:
Ho conosciuto Armando Ceste nella redazione del quotidiano, "Piemonte Sera": lui faceva il fotoreporter, io il cronista, e lavoravamo entrambi per la gloria. Era il 1964, avevamo vent'anni e inseguivamo le nostre illusioni, incuranti delle chimere di stabilità provenienti dall'esterno.
Io, sposato con prole nonostante la giovane età, volevo diventare giornalista e avevo rinunciato a un posto fisso e ben retribuito procuratomi da mio suocero.
Lui resisteva strenuamente alle sollecitazioni di un padre direttore di banca, che lo voleva sistemare decorosamente secondo le convenzioni dell'epoca.
In pratica, eravamo due imberbi sognatori che volevano essere artefici del proprio destino. Anche il Fato, però, è ribelle: dopo pochi mesi di avventurosa attività, il giornale chiudeva, lasciandoci disoccupati ma non domi. Infatti, tra lo sconcerto e la costernazione delle rispettive famiglie, ci accingevamo caparbiamente a percorrere da battitori liberi le strade della vita, che avrebbero portato lui a essere un regista molto apprezzato nel contesto culturale torinese e fatto di me, con alterne vicende e non poche traversie, un manager internazionale e poi un monaco tibetano.
Frequentavamo ambienti diversi e, in seguito al mio trasferimento a Milano, vivevamo in città lontane, ma non ci siamo mai persi di vista, anche se tra un incontro e l'altro trascorrevano a volte degli anni.
Armando, nelle occasioni per lui importanti, si faceva sentire, e io sollecitamente rispondevo.
Ho tenuto a battesimo il suo studio pubblicitario e ho preso in braccio il suo amato figlio Moritz, nato da pochi giorni.
Ho seguito spiritualmente Armando al momento di una difficile operazione chirurgica ed ho ascoltato i suoi progetti da film-maker. Tra lo stupore della gente, sull'altare del monastero buddhista di cui sono abate è appuntata la spilla promozionale del suo cortometraggio "Porca Miseria".
Benché conoscesse le mie simpatie per il socialismo, Armando non mi ha mai parlato della sua militanza politica, credo più per riservatezza che per diffidenza.
La riservatezza, da molti erroneamente intesa come timidezza, è sempre stata una prerogativa della sua personalità. Non ho mai pensato che fosse timido, altrimenti non avrebbe potuto esprimere in modo così acuto e graffiante la disincantata analisi sociale che emerge in ogni sua opera. Ricordo un suo sogno ricorrente, che mi raccontò con angoscia: un topo rosicchiava l'orecchio di un rude cowboy. La metafora è fin troppo chiara per chi conosce la sua figura di uomo e di artista, sempre attento a evidenziare la impari lotta tra i più deboli e un sistema che li emargina, ma non può nascondere i segni evidenti della loro presenza.
Quando era in Liguria per curarsi, mi chiamò e andai a trovarlo: durante il pranzo in trattoria mi parlava delle sue difficoltà a reperire i fondi per realizzare i film che gli stavano a cuore, ma non accennava mai ai suoi problemi di salute.
L'ultima volta che ci siamo incontrati, Armando Ceste era in pre-coma e non poteva muoversi né parlare, ma per un attimo ho visto affiorare sul suo volto quel sorriso che sempre compariva quando un lampo di ironia accendeva i suoi pensieri.
Amo credere che avesse sentito le mie battute e ridesse, come spesso avveniva durante i nostri sporadici e brevi incontri.
Non è facile salutare per l’ultima volta una persona che sta per dire addio al mondo manifesto. Uscendo dall'ospedale, riflettevo sul poco tempo passato insieme: in quasi cinquant’anni ci eravamo visti una dozzina di volte e soltanto ora mi veniva da chiedermi per quale inspiegabile ragione la nostra amicizia fosse stata così salda senza una causa necessitante e senza una vicinanza che la alimentasse.
Salito in macchina, telefonai a Petra che stava al suo capezzale:
"Non lo vedrò più. Appena ti sembra che possa intenderti, digli che ho chiamato per trasmettergli questo messaggio: voglio che lui sappia che gli sono vicino e che saremo sempre inseparabili, perché siamo della stessa natura."
Arnaldo Graglia - Lama Paljin Tulku Rinpoce, 1 maggio 2015
Ricordare Armando è un po' come ripercorrere la mia vita. Ci siamo conosciuti sui banchi di scuola, alla fine degli anni cinquanta, e siamo subito diventati amici.
Un'amicizia fatta di reciproca simpatia e di interessi comuni: la politica, ad esempio, ma anche il cinema.
[…] Tutto è iniziato nel 1966, con l'arrivo a Torino del New American Cinema , che fu per noi una vera folgorazione perché ci fece comprendere che il cinema non era solo da vedere ma di poteva anche fare con pochi soldi e una attrezzatura semplice. Bastava avere delle buone idee (e queste ad Armando non mancavano) ed una certa competenza tecnica (della quale io ero sommariamente provvisto).
Così decidemmo di dedicarci alla Settima Musa e nel 1967 il nostro primo film a soggetto era già pronto: una copia in 8 millimetri che noi andavamo a presentare nelle rassegne d'avanguardia.
[…] Armando Ceste è sempre stato un autore politicamente e socialmente impegnato ed ogni sua opera era volta a documentare fatti concreti di particolare rilevanza emozionale ed etica.
Forse è per questo che con il suo lavoro non è mai diventato ricco: ma ciò non era importante, perché il cinema, per lui, è sempre stato un vero atto d'amore.
Osvaldo Marini
Era aprile, come adesso. Armando Ceste è entrato in contatto con la comunità Valsusina attraverso una delle porte più prestigiose, la storia della Resistenza. Aveva conosciuto Bruno Carli, Giovanni Peirolo, Alessio Maffiodo, Rodolfo Favro, Egidio Pelissero Carlo Varda, questi alcuni nomi tra i tanti intervistati e li aveva consegnati alla Storia attraverso un documentario “Mai Tardi”. Era il Cinquantesimo della Liberazione.
Chiara Sasso
Oggi ho stampato queste poche immagini scattate quarantacinque anni fa.
Marini, più tuo amico, ma anche mio, credo che le utilizzerà per una pubblicazione in tuo ricordo.
Eravamo a Vernazza per una breve vacanza; era Natale 1969, pioveva e tirava un vento gelido.
Nelle immagini mi rievochi gli eroi della mia infanzia: Coppi, Geminiani, Kübler, ma un po' anche Bonaparte Napoleone. Ci siamo frequentati quasi ogni giorno per due anni.
Dividevamo lo studio in cui lavoravamo.
Dopo il 1972 i nostri incontri si sono diradati, ma l’affetto, quello, ci ha sempre uniti. Le persone che sono state veramente amiche e si sono amate lo saranno per sempre, anche senza una assidua frequentazione. Caro Ceste, mi manchi, ma sei sempre nei miei pensieri.
Tuo P.M.S.
P.S. Ogni tanto ti sogno, in sogni bellissimi.
Paolo Mussat Sartor, Torino 30 maggio 2014
Ho conosciuto Armando nel lontano 1977. […] allora aveva dei grandi baffi neri, gli occhi furbetti, parlava poco e sottovoce. […]
[…] Armando aveva la Renault R4 d’ordinanza (di colore rosso), militava in Lotta Continua e fumava Gauloise senza filtro nel mitico pacchetto azzurro.
Arrivava tardi in ufficio e faceva una lunga pausa per il pranzo, dalle 12.30 alle 15, andando spesso a pranzo a casa. Abitava allora in una casa a Pozzo Strada con Carla, una delle ragazze più belle e desiderate di Lotta Continua.
In quella casa l’energia elettrica era usata in modo smodato, semplicemente perché il contatore dell’ENEL, grazie ad un pezzo di pellicola fotografica, veniva bloccato e fatto girare solo per poche ore al mese per non destare troppi sospetti.
Marino Bronzino, 28 settembre 2014
PER ARMANDO compagno di viaggio
Con Armando c’era innanzitutto un grande rapporto di amicizia. La conoscenza risale allo studio di grafica Ceste/Torri in Via Accademia Albertina. Erano gli anni settanta e lo studio al pian terreno era un antro buio da cui uscivano meraviglie grafiche piene di colore; là ci si trovava con amici a discutere di politica, progetti e necessarie facezie giovanili. Poi tutto si spostò alla luce nello studio all’ultimo piano in Piazza Carlina. Prima, Armando aveva un paio di baffoni da cui traspariva a tratti un sorriso sornione, si tolse anche quelli e tutto diventò più chiaro, in luce appunto. Cominciammo a collaborare artisticamente e a produrre uno svariato numero di film insieme. Lo studio era la base operativa. Il motore delle idee era Armando, idee che a volte si intrecciavano con i miei progetti teatrali, a volte avevano un’autonomia di visionarietà tutta sua. Lo studio di Piazza Carlina lo ricordo con nostalgia, era la base di elaborazione da cui si partiva per i blitz sulla realtà: ci si trovava al mattino e si programmava dove andare, chi incontrare, si sbozzava il testo e si andava. Era curioso il modo di procedere, Armando una volta sbozzata l’idea e definito un progetto lo evidenziava con storyboard e immagini ma poi lavorava soprattutto di intuizione, pronto a cambiare direzione se arrivava una notizia, un’idea, una suggestione nuova. Negli anni ho visto la sua passione per la grafica venir meno per essere sostituita completamente dalla passione per il cinema ma sarebbe più giusto dire urgenza, come se avesse bisogno di fissare attraverso la macchina da presa una realtà, un mondo che altrimenti sfuggiva. Man mano passava il tempo, più lui diventava la macchina da presa, con un’identificazione, un’aderenza tra se e quello che riprendeva, intuitivamente pronto a registrare anche i momenti morti: nelle pause, nelle discussioni che poi a volte diventavano parte del film, come se non ci fosse più frattura o differenza tra la vita e la ripresa, un’identificazione assoluta con il mezzo, con il soggetto, con il tema. In qualche modo era come ossessionato dai grandi maestri: Murnau, Godard ed altri, che riconosceva come tali e voleva seguire, sicché le sue opere, anche i “documentari”, erano sempre una trasposizione visionaria del mondo, un suo continuo tentativo di produrre arte attraverso la realtà. E il risultato è una realtà trasfigurata, lo si capisce meglio oggi, rivedendo i suoi film. Come un eroe di altri tempi era percorso da un’inquietudine che era motore e persecuzione che generava uno sguardo obliquo sulla realtà, che generava senso e voglia di denuncia. Si pensava ancora di cambiare il mondo attraverso l’arte e la denuncia. Ingenui?.... Forse, ma lui ha lasciato un vuoto non colmato nella cultura torinese.
Armando era un ragazzo del '900 e questo nuovo secolo gli stava stretto. In questo nuovo secolo di conformismi e privo di ideali non riusciva più a respirare, come soffocato da un cambiamento del mondo verso il nulla.
Certo non fu sempre facile il rapporto con lui, con la sua inquietudine, con i suoi dubbi e le sue improvvise decisioni ma ci legava un profondo affetto e una stima reciproca e la consapevolezza di essere preziosi compagni di viaggio. Ricordo che durante una delle prime riprese alla domanda: “cosa devo fare?”, fu il primo a dirmi: “cerca di essere te stesso”, non l’ho dimenticato ancora oggi e certo lui, sul lavoro, fu sempre e fino in fondo se stesso.
Beppe Rosso, 7 aprile 2016