«Credo che la storia, la memoria di una generazione vada non solo salvata, ma raccontata dai suoi protagonisti. Il rischio è l'oblio, la disinformazione».
Appunti di lavorazione del film Aria di Golpe (1994)
«Ieri. La fabbrica, l’università, le case occupate, le strade, le piazze. Questi erano i luoghi, gli scenari, i set ideali ed obbligati di quel cinema che si chiamò "militante" e a Torino, tra il 1968 e il 1975, si organizzò in un collettivo di cui facevo parte. Era un cinema marginale, antagonista al sistema e alle sue regole di mercato, che si proponeva, tra mille difficoltà produttive, come documentazione della lotta politica. Gli operai, gli studenti, i disoccupati, erano i veri protagonisti, i soggetti principali di questo cinema, non semplici pretesti drammaturgici o metafore per raccontare questa o quella storia. Questi filmati si vedevano, in affollate proiezioni, con le stesse persone che pochi giorni prima avevano sfilato in una manifestazione o stavano occupando una fabbrica. Oggi. La tempesta tecnologica imperversa e il risultato sarà la democratizzazione del cinema. Per la prima volta chiunque può fare un film. Ma a questo punto, forse occorre porsi delle domande. Quale cinema vogliamo - o possiamo - fare? Per chi?
Contro chi? […]
[…] Credo che oggi un certo tipo di cinema, in particolare quello documentario, debba cercare di avviare con urgenza un discorso produttivo e distributivo con televisioni, istituzioni democratiche, amministrazioni, archivi, persone, che siano impegnate in una lotta per il cambiamento di questo sistema audiovisivo, per la difesa di un cinema che dovrebbe essere un patrimonio culturale collettivo, che permetta di resistere, conservare e difendere memorie, contro l’oblio e il silenzio».
Il documentario, TorinoSette - La Stampa, 01/10/2004
Parlando di Rosso/Askatasuna
«Mi ricordo che quel giorno non ero andato in piazza; ho dunque saputo degli incidenti e degli scontri dai giornali. Si capiva che era stata commessa una schifezza, ma non era chiaro che cosa fosse accaduto. Passo spesso davanti all’Askatasuna; ultimamente mi ha colpito uno striscione enorme con la scritta “1-05-99 noi non scordiamo”. All’interno dell’Askatasuna ci sono molti spazi, fra questi uno è occupato da un gruppo teatrale. Uno dei ragazzi del gruppo mi parlò di quello che era successo e della loro intenzione di preparare uno spettacolo teatrale per raccogliere soldi per la ricostruzione del centro.
Ne parlai con Beppe Rosso, se aveva voglia di partecipare, e lui si dimostrò subito sensibile e pronto a fare uno spettacolo all’interno dell’Askatasuna. Abbiamo quindi organizzato a metà giugno questo spettacolo teatrale – Camminanti – dove si parla di intolleranza e di razzismo. Lo spettacolo andò bene, portandoci a contatto con una nuova realtà che, per ragioni sia storiche che anagrafiche, non conoscevamo. Prendendo a pretesto lo spettacolo, con Beppe, decidemmo di realizzare il film; non solo per raccontare la giornata del 1° maggio, ma anche per descrivere lo scontro tra due culture, dove il “diverso” (dall’immigrato allo squatter) viene come al solito criminalizzato, identificato col nemico».
Armando Ceste intervistato da L. Monti, Noi non scordiamo in «Numero Zero» n. 8, 1999
Parlando di Libera Terra
«...Mi ha telefonato don Luigi Ciotti invitandomi a seguirlo a Casal di Principe, in provincia di Caserta, a vedere una ludoteca nata in un luogo che avevano confiscato a un boss della camorra. Ho accettato e sono partito, un po' come un reporter di guerra perché credo, come si usava dire una volta, alla militanza. Ho seguito quindi il nostro Luigi in Calabria, Sicilia, Campania, sempre incollato con la telecamera finché ad un certo punto mi sono reso conto che ci dovevamo fermare un attimo: la sua testimonianza l'ho raccolta, infatti, all'Oasi di Cavoretto».
La Stampa, 07/11/2002
Parlando di Variazioni
«è la prima volta che "sconfino" nel teatro - spiega - e, per farlo, mi sono ispirato all'ultimo libro di Tabucchi, Tristano muore, dove una frase dice più o meno: "La musica è stata già tutta suonata, a noi non resta che introdurre variazioni". Da qui il titolo dello spettacolo».
la Repubblica, 14/04/2004
Parlando della mostra Terroristen. Il martirio di Ulrike Meinhof
«Quelle foto sterilizzano corpi e volti, che da soggetti di comunicazione diventano oggetti di comunicazione - scrive nella presentazione - Le istituzioni ammoniscono i buoni sull'esistenza dei cattivi diffondendo l'immagine del nemico, perché sia riconosciuto, isolato e reso innocuo. La foto segnaletica annuncia pubblicamente che chi ha quella faccia deve essere punito».
la Repubblica, 19/04/2005
«In una società di cosiddetto libero mercato dove tutto si compra e tutto si vende, il sistema è di domanda e offerta. In teoria la domanda dovrebbe essere libera, in realtà la domanda non è libera, si possono influenzare aspettative e richieste dell'utente. C'è un condizionamento della domanda, si privilegiano i lavori che rispondono alle esigenze che in quel momento determinano maggiore visibilità. Vi è anche una certa "censura politica" che agisce sulle reti televisive. Chi detiene il potere politico oggi può influenzare le scelte delle reti televisive (cosa dire o non dire) anche perché chi detiene il potere politico possiede tre reti televisive. Ma questo discorso è valido fino ad un certo punto, perché la vera censura è quella del mercato, è una censura peggiore di quella che si poteva avere ai tempi di Stalin. Ai tempi di Stalin non è che non si potevano fare i film, solo che i film girati venivano sottoposti al vaglio della censura e se non erano ritenuti idonei venivano abbandonati in un cassetto. Oggi è diverso perché I film non vengono neanche prodotti, nessuno vuole assumersi i costi per la realizzazione di un film. Ma vorrei comunque introdurre una nota di ottimismo (della volontà) dicendo che forse negli ultimi anni inizia a svilupparsi un'attenzione particolare per quei lavori, documentari che guardano alla realtà con un taglio più etico e politico. Ci sono grossi esempi che possono incoraggiare i produttori come i film di Michael Moore che hanno avuto un grosso successo di pubblico. Io uso molto materiale di repertorio, spezzoni di film, però tutto questo oggi è molto a rischio. Le immagini di repertorio nel giro di pochi anni non saranno più utilizzabili, questo perché sono in mano ad archivi che hanno acquistato i diritti di vendita e commercializzazione di gran parte di questo materiale. La censura attuata è di tipo economico.
Oggi gli archivi possono chiedere fino a mille euro al minuto per le immagini di repertorio. La domanda è: chi può permettersi di pagare queste cifre? Il regista indipendente certamente no. Per cui le immagini della storia, la nostra storia, non saranno più accessibili a tutti. La nostra storia verrà raccontata da chi potrà pagare le cifre richieste dagli archivi. Il cinema è patrimonio culturale collettivo e in quanto tale occorre trasmetterlo alle nuove generazioni».
Armando Ceste in Rosa Di Lella, La resistenza del cinema – L'opera di Armando Ceste, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in DAMS, A. A. 2004/2005